Un sogno rimane tale una volta svelato al mondo?
Nulla
rammento del viaggio a parte un vago ricordo di quell'uomo che diceva
di conoscermi e che continuò a parlare per un tempo che mi sembrò
interminabile.
Disse qualcosa circa i suoi anni a servizio del Signore di quelle terre e di come con il tempo venne da lui adottato come figlio suo e poi ancora delle sue nozze con la figlia legittima di lui...
Un fiume inarrestabile di parole
dentro quel piccolo spazio. Ricordo che nella mia follia, vedevo le
parole fluttuare davanti e intorno a me come fossero dei pesciolini in
uno stagno.Le guardavo divertito e non mi
interessava nulla di tutto il discorso, solo le parole, così belle, così
eleganti nel loro fluttuare.
Quando
scendemmo dal regal cocchio era calata la notte. Il loquace e nobile
Signore mi affidò alle cure di un vetusto servitore: "Giona si occuperà
di quanto ti abbisogna. Riposa le membra amico mio, domani parleremo
ancora."
Giona mi condusse in un
budello di corridoi male illuminati e gradinate più o meno ripide. Più
avanzavo, più mi sentivo a disagio. Ansia, inquietudine, ma perché quel
luogo mi incuteva timore? Poi compresi. Non era il luogo, erano i quadri
alle pareti. Tutti quei personaggi seguivano il mio cammino, ogni mio
passo era controllato.
L'ansia
crebbe fino a sentire l'urgenza di fuggire quando finalmente Giona mi
introdusse nelle mie stanze salvandomi da quella miriade di occhi.
L'ingresso nella stanza mi salvò dalla mia pazzia. Mi calmò la vista di una invitante tinozza con acqua calda pronta ad accogliere il mio corpo. Il camino acceso e un piccolo pasto su di un tavolino completarono l'accoglienza.
L'ingresso nella stanza mi salvò dalla mia pazzia. Mi calmò la vista di una invitante tinozza con acqua calda pronta ad accogliere il mio corpo. Il camino acceso e un piccolo pasto su di un tavolino completarono l'accoglienza.
"Se
avete bisogno chiamate." gracchiò il servitore uscendo, il disprezzo
che avvertii nella sua voce non mi disturbò. Lasciai cadere a terra i
miei polverosi abiti accomodandomi in quell'accogliente bagno. Immerso
nel tepore, mangiai del formaggio e del pane. Esso era il pasto del
pellegrino e veniva offerto ai viandanti che il Signore lasciava
pernottare in foresteria. Tracannai velocemente più boccali di buon
vino rosso e abbandonai il capo contro la tinozza.
Alzai
gli occhi al di sopra del camino e alla luce dei candelabri vidi ancora
un dipinto. Ancora occhi che mi scrutavano, ma nessuna ansia in me. La
donna raffigurata in quel dipinto aveva il volto di Alice. Rimasi a
guardare quegli occhi cerulei fino a quando Morfeo mi rapì portandomi
nel suo regno.
Mi
destai a giorno fatto in un letto enorme tra due morbidi cuscini di
piume. Alzatomi trovai i miei abiti spazzolati e piegati su una sedia.
Giona aveva provveduto. Mi vestii lentamente e tornai nella sala nella
quale mi ero addormentato. Cercai subito gli occhi di lei, ma non li
trovai. Il quadro che sovrastava il camino ormai spento raffigurava un
veliero in balia del mare in tempesta tuttavia questa scoperta non mi
stupì.
Sedetti
sul comodo sedile che aveva sostituito la tinozza e mi concessi una
abbondante colazione. Sul tavolino un cesto di frutta fresca aveva
sosituito il frugale pasto della sera prima e una brocca di acqua aveva
preso il posto della caraffa contenente quello stupendo vino rosso.
Mentre
adentavo un succoso frutto, osservavo il veliero nel quadro e mi
ritrovai a bordo di esso in balia delle onde. Ero sul ponte intento a
governar la nave, le onde sferzavano il ponte spazzando via ogni cosa io
legato alla barra del timone, tentavo di salvar la nave e la pelle. La
furia del mare era incontenibile, io senza un perchè cantavo a
squarciagola mentre le onde mi sovrastavano togliendomi il fiato.
Cantavo e piangevo, cosa cantassi non lo so, perchè piangessi non importa. Ero su quella nave opuure no? Non lo so più.
Forse per questo la gente mi chiama il Matto
Vostro Profeta ondivago
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