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giovedì 8 ottobre 2020

Sogno di Profeta 06


Un sogno rimane tale una volta svelato al mondo?




Nulla rammento del viaggio a parte un vago ricordo di quell'uomo che diceva di conoscermi e che continuò a parlare per un tempo che mi sembrò interminabile.

Disse qualcosa circa i suoi anni a servizio del Signore di quelle terre e di come con il tempo venne da lui adottato come figlio suo e poi ancora delle sue nozze con la figlia legittima di lui...

Un fiume inarrestabile di parole  dentro quel piccolo spazio. Ricordo che nella mia follia, vedevo le parole fluttuare davanti e intorno a me come fossero dei pesciolini in uno stagno.Le guardavo divertito e non mi interessava nulla di tutto il discorso, solo le parole, così belle, così eleganti nel loro fluttuare.

Quando scendemmo dal regal cocchio era calata la notte. Il loquace e nobile Signore mi affidò alle cure di un vetusto servitore: "Giona si occuperà di quanto ti abbisogna. Riposa le membra amico mio, domani parleremo ancora." 

Giona mi condusse in un budello di corridoi male illuminati e gradinate più o meno ripide. Più avanzavo, più mi sentivo a disagio. Ansia, inquietudine, ma perché quel luogo mi incuteva timore? Poi compresi. Non era il luogo, erano i quadri alle pareti. Tutti quei personaggi seguivano il mio cammino, ogni mio passo era controllato. 
L'ansia crebbe fino a sentire l'urgenza di fuggire quando finalmente Giona mi introdusse nelle mie stanze salvandomi da quella miriade di occhi.
L'ingresso nella stanza mi salvò dalla mia pazzia. Mi calmò la vista di una invitante tinozza con acqua calda pronta ad accogliere il mio corpo. Il camino acceso e un piccolo pasto su di un tavolino completarono l'accoglienza.

"Se avete bisogno chiamate." gracchiò il servitore uscendo, il disprezzo che avvertii nella sua voce non mi disturbò. Lasciai cadere a terra i miei polverosi abiti accomodandomi in quell'accogliente bagno. Immerso nel tepore, mangiai del formaggio e del pane. Esso era il pasto del pellegrino e veniva offerto ai viandanti che il Signore lasciava pernottare in foresteria. Tracannai velocemente più boccali di  buon vino rosso e abbandonai il capo contro la tinozza.

Alzai gli occhi al di sopra del camino e alla luce dei candelabri vidi ancora un dipinto. Ancora occhi che mi scrutavano, ma nessuna ansia in me. La donna raffigurata in quel dipinto aveva il volto di Alice. Rimasi a guardare quegli occhi cerulei fino a quando Morfeo mi rapì portandomi nel suo regno.

Mi destai a giorno fatto in un letto enorme tra due morbidi cuscini di piume. Alzatomi trovai i miei abiti spazzolati e piegati su una sedia. Giona aveva provveduto. Mi vestii lentamente e tornai nella sala nella quale mi ero addormentato. Cercai subito gli occhi di lei, ma non li trovai. Il quadro che sovrastava il camino ormai spento raffigurava un veliero in balia del mare in tempesta tuttavia questa scoperta non mi stupì.
 
Sedetti sul comodo sedile che aveva sostituito la tinozza e mi concessi una abbondante colazione. Sul tavolino un cesto di frutta fresca aveva sosituito il frugale pasto della sera prima e una brocca di acqua aveva preso il posto della caraffa contenente quello stupendo vino rosso.

Mentre adentavo un succoso frutto, osservavo il veliero nel quadro e mi ritrovai a bordo di esso in balia delle onde. Ero sul ponte intento a governar la nave, le onde sferzavano il ponte spazzando via ogni cosa io legato alla barra del timone, tentavo di salvar la nave e la pelle. La furia del mare era incontenibile, io senza un perchè cantavo a squarciagola mentre le onde mi sovrastavano togliendomi il fiato.

Cantavo e piangevo, cosa cantassi non lo so, perchè piangessi non importa. Ero su quella nave opuure no? Non lo so più.

Forse per questo la gente mi chiama il Matto


Vostro Profeta ondivago

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